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L'AVE DELLA RASSEGNA STAMPA: È ANCORA UN BUON PARAMETRO DI VALUTAZIONE NEL MONDO DELLA COMUNICAZIONE MODERNA?


Dopo aver terminato Vendemmia a Torino - Grapes in Town, per la prima volta mi è stato

chiesto l'AVE della rassegna stampa, ovvero la valorizzazione delle uscite stampa.


L'AVE (Equivalent Advertising Value), tradizionalmente utilizzato per misurare il valore economico della visibilità ottenuta attraverso la rassegna stampa, è stato per anni uno degli indicatori più diffusi nel monitoraggio della comunicazione aziendale, anche per capire come comportarsi in futuro e su quali testate o riviste aveva senso investire. Ma con l'evoluzione delle tecnologie e dei canali di comunicazione, possiamo ancora considerarlo un parametro affidabile?


Cos'è l'AVE della rassegna stampa e come si calcola


Prima dell'arrivo delle nuove tecnologie, dei social media e dei nuovi strumenti di comunicazione, ogni attività di PR veniva valutata come se fosse un contenuto pubblicitario, e il suo "valore" veniva misurato esclusivamente in base alla (semplice) visibilità ottenuta sui mezzi di comunicazione. In pratica si calcolava moltiplicando i centimetri di spazio degli articoli dedicati all'azienda, al brand o all'evento ai costi degli spazi pubblicitari della testata. Il risultato ottenuto rappresentava il costo che l’azienda o l'organizzatore di una manifestazione avrebbe dovuto sostenere per acquistare uno spazio pubblicitario della stessa dimensione su quella stessa testata.  


Facciamo un esempio, del tutto inventato, ma chiaro: sulla testata X viene pubblicato un articolo scritto dalla redazione - quindi non un ADV - di 30 righe sull'evento Vendemmia a Torino - Grapes in Town citato prima. L'ADV sulla testata costa 10 euro a riga (altra metrica non più in uso), quindi se gli organizzatori avessero dovuto pagare un'ADV avrebbero speso 30 (le righe) x 10 (il costo di una riga), ovvero 300 euro.


O ancora, semplificando senza parlare del costo per riga, ma di spazio: la testata X, supponiamo nazionale, pubblica mezza pagina sull'evento, perché la redazione ha ricevuto il comunicato stampa e l'invito all'evento, l'ha ritenuto di grande impatto e/o interesse, ha inviato il giornalista a partecipare e lui/lei ha scritto un articolo a riguardo. Tutto questo a costo ovviamente 0. Immaginiamo che, su quella testata, il costo di un ADV di mezza pagina sia 1.400 euro. L'AVE, in questo caso di 1.400 euro, è il valore dell'articolo pubblicato gratuitamente, ovvero il costo che gli organizzatori avrebbero dovuto pagare per avere mezza pagina su quella testata.


Ma quanto è corretto mettere sullo stesso piano i redazionali, cioé gli articoli usciti gratuitamente e i pubbliredazionali, quelli a pagamento, che oltretutto vengono inseriti con tanto di segnalazione del fatto che si tratta di un'inserzione pubblicitaria? I redazionali non dovrebbero valere di più, proprio perché è stata una decisione del giornale parlare di quella notizia?


Domanda, questa, che probabilmente si è posto anche Robert Wynnes, che dopo 6 anni di interviste ai lettori, ha stabilito che un contenuto editoriale (il redazionale) ha un impatto 5 volte maggiore all'advertising (il pubbliredazionale), soprattutto in termini di CTA e impatto sui comportanti. Il classico: "Ci vado perché l'ho letto sul giornale", tanto per capirci. Per questo, secondo Wynnes, l'AVE di un articolo redazionale dovrebbe essere data dal costo pubblicitario di una testata o di una rivista moltiplicato x 5.


Quindi un ottimo lavoro di chi si occupa di ufficio stampa in passato sarebbe stato quello di uscire su un numero molto alto di giornali importanti senza spendere neanche un centesimo di ADV, riuscendo così ad ottenere un AVE alto, per sottolineare le proprie capacità ed il proprio valore e per dare una visibilità immensa all'azienda, al brand o all'evento di cui si occupa.



Non di solo AVE vive l'ufficio stampa digitale


Ma oggi questo non è più sufficiente, perché non basta più solo considerare il numero di giornali e/o di riviste su cui si parla di un'azienda, di un brand o di un evento , ma è fondamentale analizzare anche il sentiment, ovvero il tipo di contenuto (positivo, negativo o neutro) associato a quella menzione, oltre che valutazione più completa e cross-canale, in grado di rispondere alle esigenze di tutte le piattaforme, dai media tradizionali a quelli digitali, social e audiovisivi.


Questo porta indubbiamente a cambiare anche il valore delle testate, perché potrebbero essere molto forti sui social, e accedere quindi ad un bacino di lettori molto ampio, che vedono la notizia e ci cliccano sopra.


Inoltre, con i social, l'influencer marketing, la SEO e il content marketing, oggi è possibile misurare con maggiore precisione il ritorno dell’investimento (ROI) in termini di engagement, reach e conversioni, offrendo un quadro molto più dettagliato e orientato ai risultati reali. Parametri, questi, che purtroppo l'AVE non può cogliere, rischiando di diventare un valore obsoleto in un panorama comunicativo che si evolve rapidamente.




In conclusione: AVE della rassegna stampa sì o no?


Se da un lato l'AVE ha il merito di fornire una misura oggettiva in termini di spazi pubblicitari equivalenti, dall'altro non tiene conto di numerosi aspetti fondamentali della comunicazione sul web, tra cui appunto la qualità dell'interazione con il pubblico, il coinvolgimento sui social e l’efficacia delle campagne digitali.


È quindi importante considerarlo solo come uno degli strumenti all'interno di un sistema di misurazione più ampio e integrato, che tenga conto anche dei nuovi mezzi e delle nuove metriche digitali.

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1 Comment


Laura Bonifacio
3 giorni fa

L'AVE non la si usa più da tempo, ormai. Sorprassata, e di brutto.

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